Io sono una persona mattiniera anche di domenica, se poi c’è un pranzo di famiglia con nonne o zii, mi metto presto all’opera per improvvisare un menu in base alla spesa del sabato.
Se fossi una vera chef, sarei quella che decide di istinto, sul momento, se poi la ricetta è complessa, poiché ritocco a modo mio per semplificare e velocizzare, sarei la disperazione di Cracco.
Butto quindi tutto all’aria, al culmine più alto di confusione…tutto è pronto, pane fatto in casa, pietanze e dolce, arrivo puntuale all’appuntamento a tavola ma… bussano alla porta: è la mia giovane e timida vicina di casa marocchina, mi offre un invitante piatto di cous cous. Non è quindi un fatto che di per sé potrebbe apparire così interessante, ma quello che mi ha colpito è stato il suo modo così riservato e gentile di avvicinarsi a me e così, dopo i miei ringraziamenti, mi ha abbracciata. In quel momento ho sentito come può essere bello sentirsi vicini ad una donna che solo apparentemente è differente per origini, cultura ed età, lo ammetto, essendo lei giovane, mi scatta anche l’istinto materno!
Noi italiani amiamo il cibo, per noi è un piacere mangiare e anche condividere, siamo orgogliosi delle nostre numerose specialità, ma sentiamo anche il richiamo della nostra memoria; si tramandano le tradizioni della regione di origine, di famiglia, i ricordi dell’infanzia e delle nonne che cucinavano. Amiamo nutrire chi è speciale per noi (a volte esagerando) perché con il lavoro e le nostre mani trasmettiamo i nostri sentimenti.
Questa volta la mia famiglia ha assaggiato i sapori e i ricordi del nord africa.
Questa amicizia è ancora acerba, si limita a saluti, a sorrisi e a qualche dialogo ancora un po’ difficile a causa della lingua. Tuttavia ci sono stati sguardi e gesti…e un piatto di cous cous che hanno detto molto.
La narrazione di sé assomiglia al tempo della preparazione dei cibi: si mettono insieme frammenti diversi, dettagli apparentemente estranei uno all’altro, materie prime semplici ed essenziali. Poi, soltanto alla fine, ne emerge un capolavoro di sapori e persino di colori, quando si è dato a ciascun ingrediente il giusto tempo.
Stupore e gratitudine accompagnano poi la degustazione, che comunque richiede calma e spazi dilatati, perché per saper gustare occorre tempo, preparazione, cura, ritualità, elementi che arricchiscono di significati e di riferimenti più alti, elementi semplici e soste comunque necessarie.
Più che saziarsi, è importante “mangiare insieme”. Persino “preparare insieme” la tavola, con tempo, con cura e attenzione ai piccoli dettagli può diventare segnale e consuetudine, una modalità quotidiana di dare la necessaria attenzione ai piccoli dettagli, stile di un modo di vivere che ha cura anche di attenzioni gratuite, ma che aggiungono bellezza a ciò che è già buono.
Gentilezza e bellezza hanno a che fare con la gratuità: ingredienti rari, talora, eppure preziosi, essenziali, per poter dare gusto al vivere. L’essenziale non indulge a sprechi, ma asseconda e persegue generosità e cura, ovvero consapevolezza e attenzione.
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l’occasione di un pranzo settimanale per parlare della giovane marocchina e suscitare simpatie in noi.
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